La mia bisnonna si chiamava Crocifissa. Nata alla fine del 1800, visse e morì novantenne a Monte San Biagio, bellissimo borgo sopra il Lago di Fondi.
Come accadeva da millenni, anche nelle nostre zone, esistevano donne di grande forza che possedevano una sapienza semplice, generalmente tramandata da madre in figlia, che permetteva loro di curare i piccoli malanni delle persone e degli animali all’interno delle loro comunità. Fortemente credenti, conoscevano antiche preghiere, l’uso delle erbe e il potere delle segnature. Erano le cosiddette guaritrici di campagna, nei secoli, ahimè, spesso etichettate come streghe, con le nefaste conseguenze che tutti conosciamo. La mia bisnonna era una di queste. Va da sé che in un periodo storico e in una realtà in cui non era semplice rivolgersi a dottori e avere a portata di mano ospedali, Crocifissa fosse un personaggio molto popolare nel suo paese.
Come era uso ai tempi, si sposò giovanissima e mise al mondo 14 figli. Possiamo immaginare come fosse perennemente indaffarata tra figli e nipoti, ma questo non le impediva di essere sempre disponibile verso chiunque le chiedesse aiuto. Quando sentiva qualcuno che da fuori casa chiamava “Crucefì!”, rispondeva “Gnooo” (come a dire sissignore), si buttava lo scialle sulla testa e correva, che fosse giorno, che fosse notte.
Ma ecco che dopo diversi anni di onorevole attività, la sua vita si complica. Un bel giorno, infatti, il sindaco, seguito a distanza dal parroco e dal farmacista, si presentò a casa sua accompagnato dai gendarmi che la presero e la portarono in galera. L’accusa? Abuso di professione medica ed esercizio di pratiche contrarie alla religione cattolica.
Mia nonna passò tutto un giorno e una notte in gattabuia fino a che il marito, nonno Michele, questionando e raccomandandosi alle Autorità secolari e spirituali del luogo, riuscì a riportarla a casa con la promessa che la moglie non avrebbe più somministrato manco una camomilla. E così, per molti mesi, Crocifissa, supplicata da mia nonno, promise di non curare più nessuno e si dedicò esclusivamente alla sua numerosa famiglia.
Ma una sera che pioveva che Dio la mandava, si sentirono grida e colpi concitati alla sua porta. Crocifissa corse ad aprire e si trovò di fronte la cameriera, nonché amica fedele, della moglie del sindaco. La ragazza, tra le lacrime, riferiva che la sua padrona era disperata perché il figlio piccolo erano giorni che era sfinito da una febbre altissima che nessuno era riuscito a debellare. Con il cuore in mano, la implorava di andare con lei per aiutare il bambino.
Crocifissa rispose che non poteva fare niente perché le era stato vietato, lei teneva famiglia e non poteva rischiare di ritornare in prigione. La donna continuò a disperarsi e a scongiurarla di fare qualcosa. Crocifissa non intendeva venire meno alla promessa fatta a nonno Michele, ma quelle lacrime accorate scossero violentemente la sua natura di guaritrice ingabbiata. Allora prese le mani della donna e le disse “Senti a me. Io ci vengo a casa dalla padrona tua, ma le devi dire che mi devono venire a prendere e accompagnare il sindaco, il parroco e il farmacista. E mi devono chiedere scusa. E devono continuare a farmi fare per tutti quello che so fare. Che mica il figlio del sindaco è meglio degli altri figli. E mo’ scusa che devo mettere da mangiare a tavola”. Ingabbiata sì, ma ribelle e fiera. E chiuse la porta.
La ragazza riportò il messaggio.
Dicono che quella notte dalla casa del sindaco le urla della moglie arrivarono fino al mare.
Tiziana Rizzi